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IL MAPPAMONDO – In un Sudamerica pieno di turbolenze, l’Argentina torna al kirchnerismo (senza esagerare)

BOLIVIA

L’affluenza, incredibilmente alta ma stabile rispetto all’ultima tornata elettorale, si è attestata intorno all’88,3%.

Dopo il caos in Ecuador, in Perù e in Cile, il Sudamerica è scosso dalla crisi boliviana. Una crisi istituzionale e politica, che deriva dal desiderio di Evo Morales, il Presidente socialista che tutela i diritti degli indigeni – almeno in teoria visto il decreto del Governo che ha permesso la moltiplicazione delle autorizzazioni agli agricoltori di deforestare e ha posto le basi per roghi molto poco ambientalisti –  e odia il capitalismo, di restare Presidente nonostante un referendum consultivo del 2016 che ha bocciato la possibilità di una candidatura per più di due mandati consecutivi dopo la Costituzione del 2009. Morales si è disinteressato all’esito del referendum e nel 2017 ha comunque cambiato la Costituzione a suo piacimento. La Corte Costituzionale non ha avuto nulla da obiettare.
Molti elettori hanno votato nuovamente Morales, che ha ottenuto il 47% dei suffragi. Il sistema elettorale boliviano è molto particolare e prevede che, nel caso un candidato prenda più del 40%, il secondo turno viene evitato solo se il primo arrivato si colloca a più di 10 punti di distanza dal secondo. Quello che è accaduto è ciò che avviene in molti Paesi africani, e talvolta anche centro e sudamericani: a un certo punto, quando il ballottaggio contro l’ex Presidente socialdemocratico Mesa sembrava quasi scontato, lo spoglio si è misteriosamente bloccato per circa 24 h e  la Commissione Elettorale ha annunciato la vittoria al primo turno di Morales. Dopodiché, il conteggio è ripreso e con gli ultimissimi voti Morales ha passato la soglia  per evitare il ballottaggio.

Apriti cielo: manifestazioni in tutto il Paese contro Morales, dimissioni all’interno del Tribunale Elettorale, l’Organizzazione degli Stati Americani che avvia un’inchiesta, e il Presidente, messo alle strette, che lamenta la volontà degli oppositori di creare le condizioni per un colpo di Stato. I comitati civici che si sono formati vogliono restare apartitici e non supportano la vittoria di Mesa, ma chiedono un nuovo voto per una questione democratica. E sono pronti alla guerriglia.

Altre notizie:

– In URUGUAY si è tenuto il primo turno delle elezioni presidenziali. Accedono al ballottaggio, dopo anni di popolare governo della sinistra del Fronte Ampio, il candidato di quest’ultima Daniel Martinez e il candidato di centro-destra del Partito Nazionale Luis Lacalle Pou. Restano esclusi dal ballottaggio i liberali di Colorado.
– In LIBANO l’ondata di proteste che scuote molti Paesi in via di sviluppo ha provocato le dimissioni del premier Saad Hariri. Hariri era a capo di un Governo “di tutti”: una soluzione tecnica che in Libano è replicata da anni, per mettere d’accordo tutti e garantire il rispetto delle legislazioni nazionali che prevedono una particolare ripartizione dei ruoli politici su base religiosa. La riconferma di Hariri si era realizzata nonostante il suo partito avesse perso moltissimi voti alle ultime elezioni. Quasi nessun partito libanese, compreso Hezbollah, esce indenne dalle proteste, e questo perché i governi di tutti hanno permesso di attuare politiche di austerity senza che nessuno potesse assumersene la responsabilità politica. L’inasprimento delle accise sulla benzina è stata la causa scatenante della protesta; il contorno è l’aspra diseguaglianza sociale tra ricchi e poveri, la diffusione del clientelismo e delle raccomandazioni, 1,5 di rifugiati siriani ancora presenti nel Paese che ha 5 milioni di abitanti. Il problema, come sempre nelle manifestazioni di piazza contraddistinte dalla vaghezza degli scopi, è che i Libanesi fanno fatica a fare assumere alla società la responsabilità dei mali diffusi e scaricano tutta la colpa sulla politica. Ciò però si è verificato anche per colpa della politica, e questo in particolare perché essa ha impedito una vera e sana distinzione di ruoli, di maggioranze e opposizioni. Dopo le dimissioni di Hariri (che sarà molto difficile da rimpiazzare, e andrà sostituito con un sunnita), i manifestanti non si accontentano e chiedono anche quelle del Presidente della Repubblica Libanese Michel Aoun.
– In BELGIO sono talmente lenti a formare un governo a seguito dei complicati risultati delle elezioni di maggio, che il premier Charles Michel, il quale deve assumere la carica di Presidente del Consiglio Europeo, ha dovuto trovare un sostituto per garantire la continuazione della prorogatio del governo di minoranza di centro-destra. Sophie Wilmès, dei liberalconservatori moderati del Movimento Riformista, partito vallone di Michel, è il primo Primo Ministro del Belgio di sesso femminile.
– In REGNO UNITO il Primo Ministro Boris Johnson si è dimesso e ha convocato elezioni anticipate in modo da sfruttare il grande favore popolare che gli promettono i sondaggi e così ottenere la sua Brexit disfandosi di un Parlamento che gli ha dato fin troppe noie.

Per questa settimana è tutto.

Alla prossima elezione!
Skorpios

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