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Appuntamenti elettorali del passato: il Referendum sul divorzio del 1974

Il referendum

Gabrio Lombardi

Il fronte anti-divorzista reagì immediatamente, depositando alla Corte di Cassazione una richiesta di referendum abrogativo nel Gennaio 1971. A capo del comitato per il referendum vi era il giurista cattolico Gabrio Lombardi sostenuto dall’Azione Cattolica, dalla Conferenza Episcopale Italiana e, in parte, anche dalla DC e dal MSI, in cui nel frattempo erano confluiti i monarchici. A questo punto, le forze politiche che avevano votato il divorzio si divisero sulla strategia da seguire. Mentre la maggior parte delle forze divorziste intraprese un tentativo di mediazione con la DC per evitare uno scontro diretto e non infastidire ulteriormente la Chiesa, radicali e socialisti, convinti della vittoria del no, decisero di sostenere l’indizione del referendum abrogativo in modo che, con la sua successiva bocciatura, la legge restasse com’era stata approvata.

Amintore Fanfani

La mediazione non andò in porto e, con il contributo di radicali e socialisti, il comitato referendario raccolse oltre 1,3 milioni di firme. Fu quindi indetto per il 12 e 13 maggio 1974 il primo Referendum abrogativo della nostra storia. La divisione tra le forze politiche si ripresentò nella campagna referendaria con la DC e il MSI a favore del Sì e tutti gli altri partiti a sostegno del No. In realtà, l’appoggio dei democristiani al referendum non fu entusiastico, anzi, Lombardi accusò diverse volte il partito di non sostenere a sufficienza la causa anti-divorzista. Di fatto, il principale (e forse unico) alleato democristiano di Lombardi era il segretario Amintore Fanfani, che aveva deciso di scommettere tutto il suo capitale politico su questa votazione. Molto più freddo era l’atteggiamento dell’ala sinistra della DC che non si fece più di tanto coinvolgere, come pure il governo presieduto dal democristiano Mariano Rumor, a cui partecipavano anche socialisti e socialdemocratici, schierati con il No.

La scommessa di Fanfani può sembrare molto azzardata ma, osservando i rapporti tra le forze in campo, non risulta così rischiosa. Infatti, con le elezioni del 1972, il fronte anti-divorzista si era rafforzato grazie alla crescita missina e poteva contare sul 47,33% dei voti. Inoltre, era perfino riuscito a riconquistare una risicata maggioranza in Parlamento. D’altra parte, le forze sostenitrici del No nel 1972 avevano raccolto insieme il 51,26% delle preferenze ma si trattava di un fronte molto variegato che andava dai liberali di destra ai comunisti. Invece, l’appoggio esplicito della Chiesa, poteva compattare l’elettorato cattolico e fargli recuperare quei pochi punti di svantaggio che aveva sulla carta.

Fanfani perse completamente la sua scommessa. Il No travolse il Sì superandolo di quasi 20 punti percentuali, corrispondenti a circa 6 milioni di voti. La legge sul divorzio fu quindi salva e non venne più messa in discussione. La vittoria al referendum fu interpretata come una sconfitta della DC e, soprattutto, di Fanfani, che perse la segreteria del partito l’anno successivo a causa del pessimo risultato ottenuto alle elezioni regionali. Nel 1976 il Partito Comunista Italiano raggiunse il suo massimo storico, costringendo la DC a scendere a patti con i comunisti per la prima volta dai tempi del CLN. Secondo molti osservatori, questa ondata favorevole alla sinistra fu inaugurata proprio con il referendum sul divorzio del 1974. Non sappiamo se questa competizione elettorale segnò realmente in modo così determinante la politica italiana. Nelle prossime pagine proveremo ad analizzare i risultati un po’ più nel dettaglio e trarre delle conclusioni.

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