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IL MAPPAMONDO – In UK la sconfitta scontata, storica, e forse letale, dell’Europa politica; in Algeria la svolta è annacquata; elezioni anche a San Marino e Dominica

di Skorpios

REGNO UNITO

In Regno Unito si sono tenute le elezioni politiche anticipate, dopo le dimissioni del Primo Ministro Boris Johnson. Come pronosticato da tutti i sondaggi, Boris Johnson ha vinto le elezioni con il Partito Conservatore.

Molto si è detto su queste elezioni, delle cause della sconfitta dell’opposizione e delle cause della vittoria della maggioranza. Il contesto è, come risaputo, quello della prossima Brexit. Certo è che in pochi casi nel Regno Unito delle elezioni hanno avuto un esito così scontato, e anticipato da tutti i sondaggi.

Già dai risultati dei primi tre partiti è possibile rilevare l’incredibile effetto distorsivo del maggioritario alla britannica (con first-past-the-post voting). Altri partiti che hanno ottenuto seggi: Verdi (1 con 2,7%); i nordirlandesi di DUP (8 con 0,8%); e Sinn Féin (7 con 0,6%); e Alliance (1 con 0,4%) e SDLP (2 con 0,4%) i gallesi di Plaid Cymru (4 con 0,5%); e un buon risultato per lo Scottish National Party (48 con 3,9%).
L’affluenza, al 67,3%, si è rivelata in leggero calo (1,5%) dalle ultime politiche del 2017.

Un piccolo commento su cause e conseguenze delle elezioni secondo l’opinione di chi scrive,  con considerazioni possibilmente di parte ma che cercherà di portare argomentazioni oggettive:

Cause della vittoria di Boris Johnson e dei Conservatori:

1) La forte motivazione dei Brexiters e la notevole ascendenza degli uomini mediaticamente forti sugli elettori di destra di tutto il mondo, e quindi anche sugli elettori inglesi. Il fatto che Johnson abbia concluso un deal con variazioni risibili rispetto a quello della May è totalmente irrilevante, come i contenuti dei due deal. Quello che conta è che May appariva come una figura grigia, saccente, soprattutto una figura femminile, e quindi intrinsecamente meno considerata da un certo tipo di elettorato maschilista. Johnson appare velleitario, forte, deciso. Gli elettori hanno quindi abbandonato il Brexit Party quando hanno visto qualcuno che utilizzava i toni duri di Nigel Farage tra i Conservatori: a quel punto votare Brexit Party, che è andato molto male, sarebbe stato inutile.
2) La totale debolezza dell’Unione Europea, che mostrandosi flessibile, accomodante e insicura di fronte alle pretese degli inglesi, e accogliente rispetto alla possibilità di concludere un nuovo accordo, ha fatto percepire a molti Brexiters e inglesi che l’uscita non avrebbe portato al disastro che sarebbe stato invece più concreto con un No Deal.

Cause della sconfitta di Jeremy Corbyn, dei Laburisti e degli europeisti:
1) I liberali di tutta Europa approfittano della sconfitta di Corbyn per dare la colpa ai suoi programmi troppo a sinistra e troppo sociali. In realtà, in tutta Europa il centro-sinistra è scomparso proprio dove ha abbandonato i programmi sociali a favore di programmi liberali (basti guardare ai risultati disastrosi del PS francese, dei socialdemocratici tedeschi, dei socialdemocratici cechi, e del PD italiano, che con Matteo Renzi ha raggiunto nel 2018 il peggiore risultato della sua storia).
Corbyn ha invece perso in quanto il dibattito pubblico non si è spostato sugli argomenti per lui vincenti (la lotta per una società più equa), ma sulla questione Brexit/non Brexit. Su questo Corbyn, per non perdere voti, ha avuto sempre un atteggiamento vago e debole. La vaghezza non paga mai in politica, ma solo le posizioni forti, quando un tema è fortemente polarizzante come quello della Brexit. Questa vaghezza ha portato Corbyn a un’amara e prevedibile sconfitta, sconfitta poi strumentalizzata per trovare in essa ragioni diverse da quelle che sono le reali motivazioni.
2) La divisione partitica degli europeisti e il sistema elettorale. Al contrario di quanto avviene in Italia, la fissità e la rigidità del sistema partitico britannico impedisce soluzioni fantasiose ma, in certe circostanze, utili, come quelle di alleanze e coalizioni pre-voto. Una coalizione per un nuovo referendum tra Laburisti-SNP-Verdi-Libdem probabilmente avrebbe potuto portare a una vittoria delle istanze europeiste. In ragione della miopia politica che ha impedito all’opposizione UK di vedere oltre il misero sistema partitico ed elettorale britannico, questi partiti non hanno nemmeno ipotizzato di coalizzarsi. Il sistema maggioritario – con first-past-the-post-  che distorce la volontà elettorale in nome di una governabilità pronta a mettere a rischio i principi democratici, ha fatto il resto. 

La conseguenza è una vittoria tripla per Boris Johnson e per i conservatori. 
1) Il poter governare cinque anni senza intoppi, nonostante siano i conservatori di oggi uno dei partiti più scissi della storia inglese, e abbiano dato prova di litigiosità, confusione, disorganizzazione.
2) Il poter ottenere la Brexit a fine gennaio senza intoppi.
3) Il poter ottenere la Brexit senza conseguenze disastrose, grazie al nuovo Deal che l’Europa ha concesso.

Il voto ha premiato in Scozia l’SNP, in Inghilterra i Conservatori, in Nord-Irlanda sia Unionisti che Sinn Féin hanno sofferto a vantaggio di formazioni indipendentiste minori. I Labour, oltre che nel sud del Galles, vincono nelle grandi città, mentre perdono nelle campagne. Nulla di nuovo. Rispetto al 2017, perdono terreno nel Nord-est (segno che il voto si è concentrato sull’aspetto Brexit più che sul resto) e nello Yorkshire e nell’area di Manchester.

La visione dell’Unione Europea e in particolare dell’Europa dialogante di Angela Merkel, Donald Tusk, e Ursula Van der Leyen (a cui si oppone una visione più netta come quella di Macron e Juncker) era in parte fondata su una speranza: rimandare continuamente la Brexit e concedere un nuovo deal a Johnson molto poco differente da quello della May avrebbe fatto perdere credibilità allo stesso Johnson, e spianato la strada per un nuovo referendum. A questo si univa una visione politica miope, che guardava ai danni di una Brexit violenta nel breve-medio periodo sull’economia europea, oltre che inglese, ma dimenticava i vantaggi sul lungo periodo che un simile esempio avrebbe garantito a un’Europa politica. Invece la realtà ha sconfessato totalmente questa ottimistica strategia, che ha portato a un suicidio di portata storica. I contenuti del Johnson-deal non sono stati al centro del dibattito della campagna elettorale, semplicemente perché i contenuti poco interessano a un’opinione pubblica più intenzionata ad appassionarsi al teatro che alla vita reale. Di conseguenza Johnson è apparso come un vincitore che ha fatto ciò che la May non era riuscita fare; non solo, dopo la vittoria Johnson uscirà dall’Unione Europea con il suo deal, e tutto questo presumibilmente senza grandi conseguenze (proprio grazie al deal che l’UE ha permesso). Un’uscita poco dolorante che non farà altro che rinfocolare i sovranismi di tutta Europa. Il Regno Unito, inoltre, con la sua storica accondiscendenza ai governi americani, i suoi servizi segreti e il suo potere finanziario, e in cambio di supporto economico e commerciale, potrà diventare la chiave della strategia degli USA di Trump volta a disgregare l’Unione politica. 

Un’errore talmente imperdonabile da rischiare di rivelarsi, questa volta davvero, l’ultimo errore che l’Europa politica (non) ha potuto permettersi per continuare la propria esistenza e perseguire il proprio sviluppo. Una trappola – nemmeno ben congeniata – in cui gli Europei sono cascati con tutte le scarpe.

 

 

 

 

 

Nella prossima pagina il commento sulle Elezioni in Algeria

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