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IL MAPPAMONDO – Perù, il tribunale elettorale ancora non ufficializza il risultato; in Mongolia la sinistra è pericolosa; in Iran il moderatismo è un miraggio

di Skorpios

PERU’

Come è noto, le elezioni presidenziali in Perù sono state vinte per un soffio di voti da Pedro Castillo, della sinistra populista di Perù Libero, in un secondo turno all’ultimo sangue con Keiko Fujimori, la leader dell’estrema destra.

Tuttavia, a distanza di ben due settimane dal secondo turno, il Tribunale Nazionale Elettorale (JNE) ancora deve dichiarare ufficialmente il nome del vincitore e del prossimo Presidente della Repubblica andina. Nel frattempo, nelle piazze si scontrano i sostenitori delle due fazioni, dopo le accuse di Fujimori in relazione a presunte irregolarità di voti di cui ha chiesto l’annullamento.

La polarizzazione del voto al secondo turno ha caricato l’affluenza, che è passata dal 70,1 del primo round al 74,6% del secondo. N.B. Nella tabella sono rappresentati solo i partiti che hanno ottenuto almeno il 4% delle preferenze elettorali.

 

Una battaglia lontana anni luce dalla Presidenza moderata di Francisco Sagasti, centrista del Partito Porpora il cui Ministro dell’Interno  invoca tranquillità e rispetto delle istituzioni, nonché delle normative anti-Covid.

Del resto il Partito Porpora è andato molto male alle presidenziali (il suo candidato ha ottenuto meno del 3% delle preferenze).

I Peruviani sono stati molto chiari: basta morigeratezza, è il tempo di scelte estreme. Da un lato o dall’altro: il socialismo alla venezuelana, ammantato da nazionalismo e conservatorismo sociale (omofobia, antiabortismo, maschilismo, influenza religiosa), di Pedro Castillo contro l’estrema destra nazionalista di Keiko Fujimori, il cui padre, ex dittatore del Paese, continua a domandare la grazia senza successo.

Risultati del I turno, con centrodestra che vince nelle zone più urbanizzate, compresa la capitale, Castillo sulle montagne tra fasce più povere e indios e Fujimori nell’area costiera, ma anche tra gli agricoltori del nord-est, la zona di Loreto al confine con l’Amazzonia, e tra i proprietari dei siti minerari, preoccupati dalle promesse di Castillo. Occorre infatti ricordare che il Perù è il secondo Paese al mondo per estrazione dell’argento.

Risultati al secondo turno: è agevole notare come gli elettori che al primo turno hanno votato i partiti conservatori,  elettori provenienti generalmente da classi più agiate, abbiano fatto transitare il proprio voto, al secondo turno, su Fujimori.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tra Bolsonaro e Maduro, era chiaro fin da subito che chiunque avesse vinto avrebbe dipinto la democrazia peruviana a propria immagine e somiglianza, una democrazia di cui i Peruviani, dopo la delusione di Martin Vizcarra, l’ex Presidente inizialmente molto amato e poi destituito con accuse di corruzione – destituzione da diversi osservatori definita un golpe. Per la cronaca, il partito dell’ex Presidente ha ottenuto poco più del 2% delle preferenze.

Oggi, in una logica di contrapposizione estrema, Castillo e Fujimori minacciano gli elettori delle conseguenze della vittoria dell’uno e dell’altro (Venezuela o Brasile, per sintetizzare).

Naturalmente i Peruviani si sono divisi con nettezza: zone montane e povere per Castillo, zone costiere, rurali e capitale per Fujimori, che ha ottenuto una buona quota anche tra gli elettori all’estero. Grazie all’appoggio di quelli che al primo turno avevano votato i numerosissimi partiti conservatori, Fujimori è quasi riuscita ad ottenere la Presidenza, ma l’affluenza (74,6%), in aumento consistente rispetto al primo turno(70,1%), ha portato una parte di disinteressati dalla politica a voler difendere il Paese dal ritorno dei Fujimori alla guida.

Sebbene non direttamente Keiko Fujimori, molti dei politici di destra hanno chiesto al Presidente Sagasti di annullare le elezioni, anche se gli Osservatori dell’Organizzazione degli Stati Americani indicano che il voto si è svolto in modo tendenzialmente regolare. Alle organizzazioni di destra si sono uniti ex militari: il che preoccupa un po’ i sostenitori di Castillo, tenendo conto che il Perù ha passato da poco un impeachment molto discusso. Con il suo cappello giallo, Pedro ora veste i panni del moderato: rispetteremo i limiti costituzionali e la stabilità finanziaria del Paese, dice. Ma i mercati, i neoliberali e i padroni delle industrie minerarie temono le sue serie minacce di smantellare il liberismo nella nazione andina.

MONGOLIA

Le elezioni presidenziali in Mongolia sono state vinte dal leader del Partito Popolare Mongolo Uknhaagin Khurelsukh.

La meravigliosa “democrazia d’Asia”, l’eccezione tra i due autoritarismi per eccellenza, Russia e Cina, lo Stato che gode della propria libertà in virtù del suo ruolo di cuscinetto, torna a far vincere la sinistra dopo i quattro anni del pugile Khaltmaagiin Battulga, il “Trump” mongolo, filo-russo- filo-americano e critico nei confronti della dipendenza da Pechino.

L’affluenza si è attestata al 59,3%, un crollo di circa 10 punti dalle elezioni del 2017, quando prevalse Battulga.

Ma questa non è una bella storia d’alternanza: lo stesso Partito Popolare Mongolo, con Khurelshuk, ha fatto approvare nel 2019, grazie alla collaborazione di Battulga e con la contrarietà della maggioranza di centro-destra di cui lo stesso Battulga faceva parte, una legislazione per ridurre l’indipendenza delle autorità anticorruzione e dei giudici.  Per rimediare al pasticcio e fare pace con il Partito Democratico, Battulga, con una toppa peggiore del buco, a marzo 2021 ha provato a rendere illegale il Partito Popolare Mongolo, dopo che quest’ultimo aveva fatto passare un emendamento in Parlamento per impedire la sua ri-elezione limitando il mandato presidenziale ad uno solo.

MPP, al potere dal 1924, quando era ancora un partito marxista, sino al 2005, ha approfittato del caos presidenziale per guadagnare consensi, dapprima alle elezioni parlamentari del 2020, e infine ottenendo una percentuale bulgara a queste ultime presidenziali in favore del Primo Ministro Khurlesukh. Un uomo più filo-cinese che filo-russo, ma che ha saputo ritagliarsi un ruolo diplomatico apprezzato anche da Washington (in specie nel dialogo tra Giappone e Corea del Nord).

Uno degli elementi che ha spesso garantito la permanenza della democrazia nel Paese asiatico è stata la diversità tra partito di maggioranza in Parlamento e partito del Presidente in carica. Con Khurelsukh l’MPP ottiene un potere che non aveva più da tempo: da alcuni giudicato pericoloso per la fragile stabilità democratica di Ulan Baator.

IRAN

In Iran si sono svolte le elezioni presidenziali, di cui è risultato vincitore il conservatore Ebrahim Raisi dell’Associazione dei Chierici Militanti.

 

Qui di seguito i risultati:

Ebrahim Raisi – Associazione dei Chierici Militanti (Destra islamista) 17,9 mln – 72,4%

Mohsen Rezaee – Fronte di Resistenza dell’Iran Islamico (Destra principlista) 3,4 mln – 13,8%

Abdolnaser Hemmati – Partito dei Quadri della Costruzione (Islam moderato) 2,4 mln – 9,8%

Amir-Hossein G. Hashemi – Partito della Legge Islamica (Destra conservatrice) 1 mln – 4%

Quello spazio di discrezionalità rimasta agli elettori del regime dello Ayatollah, pur definendosi in un ambito di concessione da parte di un regime dittatoriale e teocratico, pare sia stato annullato dopo il fallimento dei Moderati di Hassan Rouhani. Fallimento caldeggiato da Donald Trump: morto l’accordo con l’Iran, è tornata la logica della contrapposizione e l’Ayatollah non ha più concesso diritto di parola a chi voglia accennare a siglare patti e a costruire ponti. E’ l’ora dei conservatori in Iran: contro Raisi, capo del sanguinario sistema giudiziario iraniano, c’era la destra principalista, l’estremismo religioso di Hashemi, con i moderati quasi totalmente assenti, fatto salvo Abdolnaser Hemmati, ex Governatore della Banca Centrale, che comunque ha ottenuto poco più dell’8%:

 

Altre notizie:

SVEZIA – La sinistra esce dalla maggioranza di Stefan Lofven, dopo la discussa liberalizzazione dei prezzi sugli affitti che avrebbe messo in crisi la battaglia per la casa cara al Partito di Sinistra. La sfiducia parlamentare manda a casa il leader della socialdemocrazia svedese degli ultimi anni, piuttosto longevo al potere (quasi sette anni ininterrotti), moltissimo per essere una figura del centro-sinistra europeo. Lofven paga anche la sconfitta sul fronte della gestione della pandemia: “I conti si faranno alla fine!” dicevano i responsabili svedesi del comitato tecnico scientifico locale. I conti si sono fatti, e si sono rivelati sfavorevoli alla Svezia. Ora si dovrà provare a formare una nuova maggioranza, ma gli scommettitori vedono più probabili le elezioni anticipate.

ISRAELE – Si è formata la Coalizione del Cambiamento, con Primo Ministro Naftali Bennett. Pochi scommettono sulla sopravvivenza politica di una coalizione tanto vasta, fatta apposta per mandare a casa Benjamin Netanyahu, che regge sui voti della sinistra, dei liberali, della destra estrema filo-coloni e sull’astensione del partito arabo conservatore di Ra’am.  La scommessa è che i magistrati mettano fuori gioco Bibi prima che il nuovo governo smetta di durare. Una cosa è certa: la politica estera non cambierà. Sulla politica interna, invece, ci potrebbero essere passi in avanti rispetto alla laicità con un percorso contrario alla strada del confessionalismo intrapresa dal longevissimo Netanyahu. Che comunque non è finito, ad oggi.

Per quest’oggi è tutto.

Alla prossima elezione!
Skorpios

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