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IL GIRAMONDO – Elezioni parlamentari in Iraq: sfida tra nazionalisti, islamici e milizie filo-iraniane, ma ben poche speranze di cambiamento

Flag of Iraq

Gli elettori iracheni sono chiamati il prossimo 11 novembre al rinnovo dei 329 seggi del Concilio dei Rappresentanti, il Parlamento monocamerale Iracheno, che a sua volta eleggerà il prossimo Presidente e nuovo Primo Ministro.

E’ la settima volta che gli iracheni eleggono democraticamente il loro parlamento dalla caduta del regime di Saddam Hussein dopo l’invasione da parte della coalizione guidata dagli USA nel 2003., ma il sistema resta segnato da divisioni etnico-settarie: arabi sciiti, arabi sunniti e curdi votano per i propri gruppi, e le cariche istituzionali sono spartite informalmente (primo ministro sciita, presidente curdo, presidente del parlamento sunnita).

Le ultime elezioni del 2021 scatenarono proteste e una crisi politica di 11 mesi. Il leader sciita Muqtada al-Sadr, vincitore di quelle elezioni, si ritirò dalla politica dopo il fallimento dei negoziati per formare un governo, e ora boicotta il voto. La sua assenza favorisce la coalizione sciita filo-iraniana , che nel 2022 ha portato al potere l’attuale primo ministro Mohammed Shia al-Sudani. Al-Sudani cerca un secondo mandato, raro nella storia recente irachena, ma deve bilanciare le relazioni tra Iran e Stati Uniti, mentre Washington preme per il disarmo delle milizie filo-iraniane.
In queste elezioni si sfidano 7.768 candidati, tra cui ex primi ministri, capi religiosi e leader di gruppi armati. Accuse di corruzione e compravendita di voti sono diffuse: si parla di tessere elettorali vendute fino a 200 dollari l’una. L’Alta Commissione elettorale promette controlli severi, ma la violenza politica è già emersa, con l’omicidio di vari candidati.
Oltre ai sadristi, boicotta anche l’ex primo ministro Haider al-Abadi. I gruppi riformisti nati dalle proteste  anti-governative e anti-settarie del 2019 partecipano, ma sono divisi e poco finanziati. La popolazione è scettica: molti  denunciano la mancanza di servizi di base (elettricità, acqua) e non credono che le elezioni possano cambiare la situazione.
Il sistema di spartizione del potere (il cosiddetto Muhasasa) è criticato per la sua inefficienza, ma resiste. Al-Sadr, pur boicottando, mantiene influenza e potrebbe tornare in gioco se il governo attuale dovesse fallire. L’Iraq resta stretto tra pressioni esterne (sanzioni USA, tensioni con Israele e Iran) e una crisi economica interna, con la spesa pubblica che assorbe quasi tutte le entrate petrolifere.  Queste elezioni rappresentano un voto cruciale per gli equilibri interni del potere iracheno, ma daranno ben pochi segnali di cambiamento reale, in un paese ancora diviso e sotto pressione delle grandi potenze che combattono per la supremazia in Medio Oriente.

 

IL SISTEMA POLITICO-ELETTORALE

Coat of arms of IraqL’Iraq è una repubblica democratica rappresentativa parlamentare federale. E’ basata su di un sistema multipartitico, dove il potere esecutivo è esercitato dal Primo Ministro, dal Consiglio dei Ministri e in parte dal Presidente della Repubblica, mentre il potere legislativo è esercitato dal Concilio dei Rappresentanti e dal Concilio della Federazione (composto da membri nominati dai governi degli stati federali).

Il presidente dell’Iraq è il capo di stato di Iraq e garantisce il rispetto della costituzione e il mantenimento dell’indipendenza dell’Iraq, la sovranità, l’unità, la sicurezza dei suoi territori. Il presidente è eletto dal Consiglio dei rappresentanti con una maggioranza di due terzi  ed è limitato a due mandati quadriennali.

Il sistema elettorale è stato cambiato in seguito alle proteste irachene del 2019-2021 . Nelle precedenti elezioni i deputati erano stati eletti con metodo proporzionale con liste bloccate. Le elezioni parlamentari del 2021 si sono tenute utilizzando il voto singolo non trasferibile in 83 circoscrizioni plurinominali. Per le elezioni parlamentari del 2025, il sistema di rappresentanza proporzionale sarà reintrodotto, con seggi assegnati in 18 circoscrizioni corrispondenti ai governatorati dell’Iraq. Nove seggi sono riservati alle minoranze (cinque per i cristiani e uno ciascuno per gli yazidi , gli shabak , i mandei e i curdi feyli).

 

Secondo il “Democratic Index” del settimanale The Economist, l’Iraq è un cosiddetto “regime autoritario”, al livello di Azerbaijan, Egitto, Giordania e Repubblica del Congo, con un alta partecipazione politica ma un bassissimo livello di funzionamento dello stato.

 

Nelle prossime pagine, la storia politica del paese, i gli sviluppi politici recenti e i principali partiti politici.

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