Il periodo più duro dovuto alla pandemia di coronavirus che sta colpendo il mondo, la primavera del 2020, stagione da ricordare nella storia per i miliardi di persone chiusi in casa, i milioni di contagiati, e le centinaia di migliaia di vittime, è stato anche un periodo che ha molto influenzato, inevitabilmente, le tornate elettorali.
Le conseguenze sono state principalmente due, una di carattere “organizzativo” e l’altra di carattere preminentemente politico.
La prima è stata, senza dubbio, il rinvio di tantissime elezioni che si dovevano tenere nei periodi in cui la pandemia ha colpito più duramente. Diverse consultazioni sono state spostate, altre sono state in un primo momento mantenute (come in Polonia, dove la presidenza in un primo momento aveva colto l’occasione di stravincere grazie al voto postale, battaglia poi persa quando le opposizioni hanno ottenuto il differimento) e in un secondo momento nuovamente spostate. Questo è avvenuto sia per elezioni politiche, sia per elezioni di portata regionale o amministrativa (vedasi il caso italiano, con le regionali spostate a settembre).
La seconda conseguenza è stata, invece, politica: in molti Paesi il covid-19 ha determinato l’imposizione di misure di restrizione con un protagonismo sempre più forte dei partiti e dei leader al potere, strozzando il dibattito politico. Questo ha avuto come generico effetto, non solo nei Paesi autoritari ma anche e soprattutto nei Paesi democratici, un aumento di popolarità dei leader al governo. Generica, ma non assoluta: in USA e Brasile, dove la pandemia è stata gestita disastrosamente in virtù del negazionismo dei Presidenti al potere, la popolarità di questi ultimi ne ha risentito in maniera importante. In altri Paesi in cui la pandemia è stata gestita altrettanto disastrosamente, come il Regno Unito e la Svezia, invece, la perdita del consenso è stata comunque relativamente limitata.
In questo periodo di stasi che ha colpito il mondo intero – compresa l’attività di questa rubrica – tuttavia, si sono tenute alcune tornate elettorali, più o meno rilevanti, i cui esiti non sono stati riportati.
Qui di seguito troviamo una “carrellata” delle (poche) elezioni generali rilevanti in ambito internazionale che si sono tenute in questi mesi grami, una carrellata che sarà divisa in due parti. Vediamone la prima.
ISRAELE – I poteri magici dell’eterno Netanyahu colpiscono ancora
Il 2 marzo si sono tenute le ennesime elezioni israeliane, che hanno visto l’ennesima vittoria della destra di Netanyahu. O meglio: vittoria politica, più che elettorale.
Insomma, una nuova situazione di stallo, atteso che la coalizione di destra avrebbe ottenuto 58 seggi contro i 61 necessari. Netanyahu sembrava questa volta, dopo le elezioni di aprile 2019 e quelle di settembre 2019, davvero finito. Ma anche questa volta è uscito fuori il coniglio dal cilindro. E chi si è rivelato il coniglio in questione? Nientepopodimeno che il suo acerrimo rivale Benjamin Gantz, capo dell’opposizione e della coalizione Bianco e Blu, che ha inaspettatamente accettato di entrare in coalizione con Netanyahu in cambio di un suo subentro a capo del Governo tra il 2021 e il 2022, a metà legislatura.
Una mossa che ha scioccato la politica del Paese: ne sono seguite proteste degli elettori delusi dal tradimento clamoroso di Gantz, e la coalizione Bianco e Blu si è spaccata, con i liberali di Yesh Atid che se ne sono andati sdegnati e sono passati all’opposizione (ma due di loro sono entrati in maggioranza con il nuovo partito centrista Derekh Eretz). Ma non è stata solo Bianco e Blu ad andare in frantumi: anche i Laburisti, bramosi di entrare nella compagine governativa, si sono uniti all’ammucchiata del nuovo Governo Netanyahu, e la sinistra ambientalista di Meretz se ne è andata all’opposizione, con una parte dei laburisti stessi; l’estrema destra filo-coloni di Yamina è rimasta all’opposizione perché il nuovo governo è giudicato troppo “morbido”, ma il suo leader Rafi Peretz ha riformato La Casa Ebraica, il vecchio partito, ed è entrato in maggioranza.
Un vero e proprio caos, una rivoluzione politica in cui tutto è cambiato affinché nulla cambi: Netanyahu è ancora al potere, e grida a gran voce contro i magistrati che vorrebbero farlo fuori con le inchieste giudiziarie; il suo piano principale è tuttavia quello della definitiva annessione della Cisgiordania, o quantomeno di una parte di essa. I progetti militari di conquista dovevano partire a luglio, ma gli USA per ora hanno messo il freno. Il nuovo governo ha giurato il 17 maggio. Una nuova guerra è solo rimandata.
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