IL MAPPAMONDO – In Myanmar vince Su Kyi, ma prosegue il compromesso al ribasso; finisce l’era dei conservatori in Belize; gli effetti della sfida pacifica USA-Cina a Palau
Si sono tenute le elezioni generali e presidenziali nella piccola repubblica oceanica di Palau. Vincitore ne è uscito Surangel Whipps Junior, all’opposizione della Presidenza al potere di Tommy Remengesau.
Palau è un Paese che condivide due caratteristiche con altre nazioni dell’area. La prima è l’inesistenza di una politica partitica, visto che tutti i candidati Presidente ma anche parlamentari si presentano come indipendenti. La seconda, invece, è una forte influenza del dissidio tra Cina e Taiwan e, indirettamente, tra Cina e Stati Uniti.
Palau vive intensamente questo conflitto anche perché è il Paese del Continente Oceanico sito più a Occidente. L’arcipelago, con capitale Melekeok, si trova infatti vicino al Sud delle Filippine e all’Indonesia (in particolare a Papua), e quindi quasi più nell’area indonesiana che in quella pacifica. Per altro Palau non è un ex colonia europea, e non ha mai avuto, in virtù della sua posizione, collegamenti più o meno forti con le grandi nazioni oceaniche (Australia e Nuova Zelanda). L’arcipelago palauense è rimasto, con varie sfumature, colonia degli Stati Uniti fino al 1994, rendendosi così uno dei Paesi indipendenti più giovani al mondo.
Da questo punto di vista è inevitabile che nel conflitto Cina-Taiwan, Palau abbia sempre riconosciuto l’indipendenza di Taipei e sia andata sempre più d’accordo con quest’ultimo Paese, sfidando Pechino talvolta pericolosamente; ma con gli USA sempre alle spalle. Per questo le vicende della politica di Palau e di altri Paesi della Regione non possono essere relegate a vicende che interessano solo i malati di elezioni estere: trattasi infatti di un elemento in un contesto di grande sfida geopolitica dei nostri tempi, quella tra Stati Uniti e Cina nel teatro pacifico.
I candidati indipendenti avevano quindi tutti un profilo pro-Taiwan, ma con diverse sfumature. Palau nella sua breve storia ha infatti avuto Presidenti che hanno sfruttato le attenzioni cinesi per ottenere maggiore supporto anche economico da Washington. Segnatamente, il Presidente uscente Tommy Remengesau e il Vicepresidente Raynold Ouilouch, candidato secondo arrivato a queste elezioni, hanno tenuto una linea più radicalmente pro-Taiwan di quella che sembra promettere il vincitore Surangel Whipps, che mostra un atteggiamento comunque più dialogante. Tra l’altro cognato e rivale politico del Presidente Remengesau (in un Paese di meno di 18mila abitanti situazioni come queste possono capitare). Remengesau aveva anche un approccio maggiormente rivolto alla tutela del mare e dell’ambiente, di cui Whipps sembra molto meno interessato, dichiarando genericamente di essere più attento “alle persone”.
Ma Pechino, che vuole conquistare l’Oceania economicamente, non avrà vita facile a Palau. Il fatto che il secondo turno delle elezioni Presidenziali si sia tenuto il 3 novembre non è una semplice coincidenza. Oltre agli USA si sono tenute le elezioni nelle colonie americane di Guam, della Samoa Americana e delle Isole Marianne Settentrionali, tutte contemporaneamente.
Altre notizie
PERU – Tre Presidenti in pochi giorni. Questo è quello che è accaduto a Lima, in Perù, dove il Parlamento ha impeacheato il Presidente Martin Vizcarra. La vicenda è molto delicata, e secondo diversi osservatori quella teoricamente fatta passare come una procedura legale non è stata altro che un vero e proprio colpo di Stato costituzionale. E’ da quando Martin Vizcarra, ex Vicepresidente del Capo di Stato di centro-destra Pedro P. Kuczynski che si è dimesso per degli scandali legati a lobby e corruzione, è salito al potere che la situazione tra Presidenza e Parlamento è tesissima. Vizcarra, anche lui proveniente dal centro-destra dei Peruviani per il Cambiamento, si è ritagliato un ruolo indipendente e un profilo anti-corruzione. Il Presidente ha in particolare promosso una riforma costituzionale che prevedeva l’impossibilità per i parlamentari di ricandidarsi immediatamente e rivedeva con regole restrittive la normativa sul finanziamento ai partiti. Nel Parlamento i partiti maggioritari sono però ostili al Presidente (in particolare i fujimoriani di estrema destra di Forza Popolare e la sinistra dell’Alleanza Popolare Rivoluzionaria Americana) e hanno rifiutato di approvare le riforme. Con un colpo di mano cesarista, Vizcarra ha minacciato di sciogliere il Parlamento, che ha sospeso il Presidente. Un caos da cui si è usciti inizialmente con un accordo in cui ognuno ha ritirato le proprie istanze, ma che non è durato molto: con spirito di vendetta, il Congresso peruviano ha sottoposto Vizcarra all’impeachment, per non meglio precisate accuse di depistaggio in indagini per corruzione nei suoi confronti, e per un vecchio riferimento normativo inerente l'”incapacità morale” del Capo dello Stato. Il Presidente del Congresso Manuel Merino, dei liberali di Azione Popolare ma con il supporto dell’estrema destra e dei militari, ha preso il suo posto, ma è fuggito quando la folla inferocita è scesa nelle piazze a difesa di Vizcarra. Alla fine si è trovato un accordo: alla Presidenza è salito Francisco Sagasti, dei liberaldemocratici progressisti del Partito Viola. Sagasti, un uomo tranquillo, anziano e centrista che promette pacificazione politica e sociale, dovrebbe rimanere al potere fino al 2021, quando si terranno nuove elezioni. Chissà se ci arriverà.
GEORGIA – I risultati finali del secondo turno delle elezioni parlamentari in Georgia hanno rafforzato il partito al potere Sogno Georgiano, che pure perde seggi rispetto alla scorsa tornata elettorale. Sogno Georgiano ha ottenuto quindi 90 seggi su 150, non avendo bisogno di accordi per formare una maggioranza. Il Movimento Nazionale Unito, primo partito di opposizione, nazionalista e filoamericano, ha ottenuto 36 seggi in tutto.
MOLDAVIA – In Moldavia si sono tenute le elezioni presidenziali, e ne è uscita vincitrice, al secondo turno, l’ex Primo Ministro Maia Sandu. Sandu, ex dirigente della Banca Mondiale, dal profilo liberale, filo-europeo e anti-corruzione, strenua combattente dell’alleanza socialista al potere, era divenuta Primo Ministro nel 2019, all’esito di un fortissimo scontro costituzionale caratterizzato da lunghi tempi per un accordo politico, oltre i limiti costituzionali, e un colpo di mano di Sandu stessa per formare il Governo. Il Governo Sandu era stato oggetto di un compromesso con i socialisti filo-russi di PSRM, di cui fa parte il Presidente uscente Igor Dodon, in opposizione al Partito Democratico della Moldavia del socialdemocratico Vladimir Plahotniu. La situazione era però talmente tesa che Sandu aveva anche accusato ignoti di miseriosi avvelenamenti con il mercurio. A novembre dello stesso anno, infatti, Sandu ha perso la maggioranza in Parlamento, ed è stata sostituita da Ion Chicu, in teoria un tecnico premier di tutti, in realtà uomo dell’accordo tra PSRM e PDM. La Moldavia è una repubblica parlamentare, e Sandu dovrà presiederla con un governo che le si oppone. Non facile. Per fortuna che Putin si è immediatamente congratulato con lei: possibile una maggiore unità dalle parti di Chisinau o è solo un falso opportunismo?
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