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Breve storia dei Mondiali di calcio – Parte 2 (1962-1982)

di Anania Casale

Mancano solamente pochi giorni all’inizio del Mondiali di calcio nel Qatar, un appuntamento atteso con trepidazione da milioni (se non miliardi) di appassionati. Abbiamo quindi deciso di ripercorrere la storia dei Mondiali di calcio del XX secolo. Nel precedente post ci siamo fermati al mondiali del 1958, mentre in questo proseguiremo il nostro racconto fino al 1982. Buona lettura!

1962: L’ITALIA PERDE LA “BATTAGLIA DI SANTIAGO”

L’assegnazione dei Mondiali al Cile, che inaugura una “alternanza” tra Europa e Sudamerica che durerà a lungo, è particolarmente sfortunata. Perché nel maggio del 1960 il Paese viene colpito da un terremoto tremendo, magnitudo 9,5 della scala Richter, il più potente mai registrato, che causa tremila vittime e due milioni di sfollati. Nonostante questo, e nonostante una situazione socioeconomica precaria, il Paese si dichiara pronto ad ospitare la manifestazione.

La Nazionale, come da diversi anni a questa parte, è affidata a un allenatore che è tale solo di nome, Giovanni Ferrari, il bicampione del mondo nel 1934 e nel 1938. In realtà Ferrari decide poco o nulla, a comandare è il capo della solita commissione tecnica, il Presidente della Spal Paolo Mazza, coadiuvato da Mino Spadacini, un dirigente del Milan e, così si vocifera, da alcuni giornalisti di gran nome, tra cui forse si possono identificare Gualtiero Zanetti e Gianni Brera. La formazione è un mix tra oriundi di classe, tra cui lo juventino Omar Sivori, il milanista José Altafini (il vice Pelè), il mantovano Angel Sormani, e l’atalantino Humberto Maschio, e giovani di ottime speranze, come Cesare Maldini e Gianni Rivera (Milan), Giorgio Ferrini (Torino), Giacomo Bulgarelli (Bologna) e altri. Il materiale umano c’è ed è buono, manca solo una forte e coerente guida tecnica.

Avviene poi un evento spiacevole. Due giornalisti italiani, Corrado Pizzinelli e Antonio Ghirelli (che una quindicina d’anni dopo sarà portavoce di Sandro Pertini al Quirinale) scrivono per i giornali italiani alcuni reportage che descrivono la miseria e la disperazione dei quartieri popolari di Santiago. Ne nasce una violenta reazione antiitaliana, fomentata da settori più nazionalisti della società cilena. Ed è un problema, perché l’Italia, proprio come nel 1954, è nello stesso girone dei padroni di casa del Cile, che comprende anche la Germania e la Svizzera.

Si parte, e la prima partita è con la Germania. Finisce 0-0, un risultato che va bene a entrambe, tanto che il tedesco Haller dirà che avrebbero potuto giocare anche senza porte. Il secondo match è con il Cile e, per motivi poco chiari, i selezionatori e i giornalisti loro consiglieri decidono di cambiare quasi interamente la formazione, mandando fuori Sivori, Maldini, Rivera, insomma tutti i migliori. Di quella lista dovrebbe fare parte anche Altafini, in effetti fuori forma, che però origliando da un muro ascolta tutto e decide di fare uno scherzo ai selezionatori: la mattina a colazione si mette a fare esercizi e piegamenti davanti a loro, per mostrare di essere in perfette condizioni atletiche. Così Mazza e Ferrari cambiano idea e lo schierano.

Uno degli episodi della “Battaglia di Santiago”

L’Italia si appresta così alla “Battaglia di Santiago”, che perderà malamente. In uno stadio che è una bolgia, e che insulta pesantemente la squadra azzurra, i cileni giocano in modo violento e provocatorio fin dal primo minuto, prendendo di mira soprattutto gli oriundi, trattati come traditori. Il primo a cadere nella trappola dopo soli sette minuti è Ferrini, che accenna a una reazione dopo un fallaccio subito. L’arbitro inglese Aston lo espelle, ma non fa lo stesso con il centravanti cileno Sanchez, che prende a pugni David. David (Milan) dopo qualche minuto si vendica, e Aston lo caccia fuori. Alla fine del primo tempo l’Italia è in nove, e per di più Maschio ha il naso rotto e sanguinante. Ovviamente la squadra tenta una disperata difesa del pareggio, che però fallisce: il Cile segna due gol nell’ultimo quarto d’ora. Ormai siamo eliminati, inutile la vittoria sulla Svizzera nell’ultima partita. La colpa del disastro viene data all’arbitro Aston, che peraltro godeva e godrà negli anni successivi di grande prestigio internazionale, e in seguito fu l’inventore dei cartellini gialli e rossi e della lavagnetta per segnalare le sostituzioni. Ma stupisce ancora oggi come i giocatori azzurri siano caduti ingenuamente in provocazioni che erano ampiamente prevedibili e previste.

Ancora una volta quindi l’Italia deve assistere da spettatrice alle fasi finali del torneo, dominato anche stavolta dal Brasile, forse meno brillante di quattro anni prima, ma più concreto. A penalizzare i verdeoro l’infortunio a Pelè, alla seconda partita, che però viene sostituito da un altro fenomeno, Amarildo (che verrà anche lui a giocare in Italia, al Milan). I brasiliani faticano un po’ nel girone di qualificazione, poi ai quarti si liberano dell’Inghilterra per 3-1, nelle semifinali per 4-2 del Cile, che tra spintoni e aiutini di strada ne ha fatta tanta di strada. In finale poi incontrano la Cecoslovacchia, buona squadra di stile europeo che può contare su un fuoriclasse come Masopust, ma troppo inferiore al Brasile, che vince con un tranquillo 3-1 conquistando così il suo secondo titolo consecutivo.

1966: L’INGHILTERRA CAMPIONE GRAZIE AL GOL “FANTASMA”

Nella loro ottava edizione i Mondiali “tornano a casa”, grazie anche al fatto che il Presidente della FIFA è un inglese, Arthur Drewry, cosa che avrà il suo peso al momento decisivo. La manifestazione inizia sotto pessimi auspici: la Coppa Rimet, che viene esposta al pubblico, in un giorno di marzo viene rubata, e poi ritrovata fortunosamente in un parco pubblico di Londra. Altro guaio è il boicottaggio delle squadre africane, che ritengono di aver diritto a un posto tutto per loro. Boicottaggio che finisce per favorire la qualificazione della Corea del Nord, evento fatale per l’Italia, come vedremo.

La Nazionale finalmente ha detto basta alle varie “commissioni” di incompetenti, e si è affidata a un unico responsabile: è Edmondo Fabbri, tecnico che ha portato il Mantova dalla serie D alla serie A, e che propugna un modulo di gioco più arioso e propositivo rispetto alla tradizione “italianista”. La Nazionale che arriva in Inghilterra è considerata tra le favorite: nei mesi precedenti ha infatti inanellato vittorie a raffica, molto convincenti, e segnato tanti gol. I giocatori sono di ottimo valore: Rivera, Mazzola e Bulgarelli, al top della loro carriera, la coppia di difensori dell’Inter Burgnich e Facchetti, il talento del Torino, destinato purtroppo a una fine precoce, Gigi Meroni. La critica filointerista però non perdona Fabbri di non aver voluto convocare Mario Corso, che lui giudica incompatibile con Rivera (Corso non era stato chiamato nemmeno nel 1962, e non lo sarà nel 1970, con relative polemiche) e in genere Fabbri non è simpatico ai giornalisti per la sua indipendenza, i modi bruschi e per la sua idea di una squadra di taglio offensivo, così lontano dallo stile dell’Inter di Herrera che proprio in quegli anni vinceva scudetti e Coppe dei Campioni a raffica.

Il girone appare facile, con Urss, Cile e la “cenerentola” Corea del Nord. La prima partita con il Cile viene vinta per 2-0, ma l’Italia, dopo aver segnato un gol quasi subito, memore di antiche abitudini si piazza in difesa deludendo il suo tecnico, per poi raddoppiare allo scadere. Con poco tatto, Fabbri si lascia andare a riflessioni spiazzanti: “Se giochiamo così non andiamo da nessuna parte”, che infastidiscono gli azzurri. Come è capitato ad altri prima di lui, e succederà ad altri dopo, oppresso dalla tensione di un torneo così importante, Fabbri perde lucidità, e nella partita successiva toglie tre giocatori, tra cui Rivera. L’Italia gioca ancora peggio e perde 1-0 con l’Urss, senza mai disturbare il portiere Jascin.

Poco male, si pensa, il prossimo avversario è la Corea del Nord, che il collaboratore di Fabbri, Ferruccio Valcareggi, ha definito una squadra “di Ridolini”, per dire che corrono molto, ma senza costrutto. Basta un pareggio a passare il turno, ma la partita è semplicemente stregata. Perani (Bologna) si mangia almeno quattro occasioni da rete e dopo mezz’ora Bulgarelli, mandato in campo in condizioni precarie, si accascia a terra e l’Italia resta in dieci (non ci sono sostituzioni). Alla fine del primo tempo il dramma: il coreano Pak Doo-Ik cattura un rimpallo e batte Albertosi. Generoso ma inutile l’assedio azzurro nel secondo tempo. E’ la fine dell’avventura italiana in Inghilterra e della carriera di commissario tecnico di Fabbri, individuato come capro espiatorio. Una conseguenza della disfatta è che la Federcalcio impedirà di tesserare da quell’anno in poi giocatori stranieri, per rimpinguare i vivai. L’altra conseguenza è che la parola “Corea” sostituirà “Caporetto” nel linguaggio comune per descrivere una sconfitta umiliante.

Il gol “fantasma” della finale Inghilterra-Germania

Il Mondiale procede come doveva procedere fin dall’inizio. Nei gironi, oltre a quella dell’Italia, fa rumore l’eliminazione del Brasile, che viene battuto sia dall’Ungheria sia dal Portogallo, trascinato dalla sua stella, il centravanti mozambicano Eusebio. Curiosamente, entrambe le partite perdute dal Brasile avevano un direttore di gara inglese. Nei quarti, l’Inghilterra batte l’Argentina grazie a un arbitro molto casalingo, che ammonisce quattro biancocelesti e ne espelle uno solo nel primo tempo. Dal canto suo, la Corea del Nord prova a fare uno scherzetto anche al Portogallo, e si porta sul 3-0, prima di essere travolta per 5-3. Le altre semifinaliste sono l’Urss, per la prima volta nella sua storia ai vertici mondiali, e la Germania. L’Inghilterra riesce a superare i lusitani in semifinale, e si ritrova in finale la Germania.

La partita è molto emozionante: a un minuto dalla fine, gli inglesi sono in vantaggio 2-1, e già pregustano il trionfo, ma il tedesco Weber rovina la festa, e li costringe ai supplementari. Dopo dieci minuti del primo tempo supplementare il fattaccio: l’inglese Hurst tira un bolide che finisce sulla traversa e poi cade… non si sa bene se al di qua o al di à della linea di porta. Ma l’unico a essere davvero convinto che sia gol è probabilmente l’arbitro svizzero Dienst. Anni di analisi alla moviola non hanno mai dato un verdetto certo, ma è davvero improbabile che una palla con quella traiettoria sia potuta entrare interamente in porta, come vuole il regolamento per assegnare un gol. Ma, insomma, l’Inghilterra doveva vincere e ha vinto (finirà 4-2) e peggio per il fair play. Questo resterà l’unico titolo a livello mondiale o continentale mai ottenuto dall’Inghilterra.

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