Il prossimo 9 agosto gli elettori keniani si recano alle urne per eleggere un nuovo presidente, vicepresidente, i deputati e senatori del parlamento nazionale, i governatori delle regioni (contee) e i membri delle assemblee regionali. Il presidente uscente Uhuru Kenyatta non può per costituzione essere rieletto per un terzo mandato.
Il Kenya, una delle principali economie dell’Africa, è alle prese con un’impennata del costo della vita e una debilitante siccità che metterà alla prova chiunque occupi l’incarico. Tutte le precedenti elezioni hanno portato a controversie, denunce di brogli e gravi esplosioni di violenze, in particolare in occasione delle elezioni del 2007, quando gli scontri interetnici causarono oltre 1’500 vittime. I keniani sperano che questa volta sia diverso.
Uno dei principali candidati alla presidenza è l’ex primo ministro Raila Odinga che a 77 anni si presenta per la quinta volta alle elezioni, dopo essere stato sconfitto nelle elezioni del 1997, 2007, 2013 e 2017. Il suo principale avversario è il 55enne vicepresidente uscente William Ruto, in carica dal 2013. Oltre ai due candidati principali, gli elettori keniani troveranno sulla scheda elettorale i nomi di David Mwaure Waihiga, un avvocato anticorruzione e George Wajackoyah, attivista politico populista che propone tra le altre cose la legalizzare la coltivazione della marijuana e l’esportazione su larga scala di veleno di serpente, carne di cane e testicoli di iena.
Odinga nelle elezioni passate è stato un implacabile avversario di Kenyatta, che ha affrontato nelle tre precedenti elezioni presidenziali. I due infatti appartengono a due gruppi etnici avversari, i Luo (Odinga) e i Kikuyu (Kenyatta) la cui rivalità risale al periodo coloniale, quando il Keyna era sotto il dominio della Gran Bretagna. Il padre di Uhuru Kenyatta, Jomo Kenyatta, è stato un leader indipendentista e primo presidente del paese mentre Il padre di Raila Odinga, Jaramogi Oginga Odinga ne fu il primo vicepresidente.
Tuttavia tutto è cambiato nel 2018, quando Odinga e Kenyatta hanno raggiunto un accordo di cooperazione politica. Questo ha creato una rottura tra Kenyatta e il suo vicepresidente William Ruto, appartenente ad un altro gruppo etnico keniano, quello dei Kanenjin del presidente-dittatore Daniel Arap Moi che ha guidato il paese dal 1978 al 2002.
Ruto, pur avendo fatto parte del governo negli ultimi nove, anni ha quindi iniziato a criticare il presidente Kenyatta per la gestione economica del paese. Proveniente da una famiglia di umili origini, Ruto, che ora è uno dei politici più ricchi del paese, si è trasformato in un leader populista dalla parte dei poveri, promettendo di ridurre drasticamente la disoccupazione giovanile. Alla testa di un nuovo partito populista, l’Alleanza Democratica Unita, che ha come simbolo una carriola, Ruto distribuisce carriole gratuite durante i suoi comizi elettorali. Ruto si presenta come un “uomo nuovo” il cui obbiettivo è di porre fine al dominio della politica keniota da parte delle dinastie dei Kenyatta e degli Odinga.
Dal canto suo Odinga promette di continuare i piani di sviluppo economico del presidente Kenyatta e di migliorare la vita dei kenioti fissando un reddito minimo mensile di 6.000 scellini kenioti (circa 50 Euro). Si è anche impegnato a fornire assistenza sanitaria a prezzi accessibili attraverso quello che che chiama “Baba Care”, promuovendosi come figura paterna in una nazione di oltre 56 milioni di abitanti.
In Kenya, molti elettori votano spesso in base alle divisioni etniche presenti nel paese criteri etnici e questo in passato ha spesso provocato gravi violenze in occasione degli appuntamenti elettorali nazionali. La crisi peggiore si ebbe a seguito delle contestate elezioni del 2007, che provocarono circa 1’500 morti e oltre mezzo milione di sfollati. Da allora, i politici hanno voluto enfatizzare l’impegno democratico pacifico. Ma la questione dell’appartenenza etnica non è scomparsa.
Sia Odinga che Ruto, faranno entrambi affidamento sulla forza dei loro gruppi etnici (rispettivamente Luo e Kalenjin) per essere eletti alla presidenza. Per attirare i voti degli elettori del gruppo etnico Kikuyu, il più grande del paese, entrambi hanno scelto un candidato vicepresidente appartenente a questo gruppo. Odinga ha scelto Martha Karua, che se eletta sarebbe la prima donna a ricoprire la vicepresidenza del paese, mentre Ruto ha scelto il deputato Rigathi Gachagua, appartenente al partito del presidente Kenyatta.
La preoccupazione che in alcune parti del paese le tensioni etniche potrebbero sfociare in scontri violenti, ha spinto molti cittadini a spostarsi nelle aree di origine del loro gruppo di appartenenza in occasione delle elezioni per evitare di essere presi di mira in caso di scontri armati. Un’altra fonte di preoccupazione è il forte rischio di brogli e irregolarità che hanno funestato gran parte delle elezioni precedenti e hanno portato all’annullamento delle elezioni presidenziali del 2017 (poi comunque vinte da Kenyatta).
IL SISTEMA POLITICO-ELETTORALE
Il Kenya è una repubblica democratica rappresentativa presidenziale multipartitica, dove il Presidente del Kenya è sia capo di stato che capo del governo. Il potere esecutivo è esercitato dal governo, guidato dal Presidente. I ministri sono scelti dal presidente al di fuori del parlamento. Il potere legislativo è conferito esclusivamente al parlamento. La magistratura è indipendente dal potere esecutivo e legislativo.
Il presidente è eletto direttamente a suffragio universale per un mandato di cinque con la possibilità di essere rieletto per un secondo mandato. Per essere eletto il presidente deve ottenere il 50%+1 dei voti validi e almeno il 25% dei voti in almeno 24 delle 47 contee del paese .Se nessuno dei candidati soddisfa questi requisiti si procede al ballottaggio tra i due candidati con il maggior numero di voti. Ogni candidato presidenziale nomina un candidato vicepresidente prima delle elezioni e una volta eletto nomina i ministri del governo, del quale fa parte anche il vicepresidente eletto.
Il Parlamento bicamerale è composto da un’Assemblea nazionale e un Senato. L’Assemblea Nazionale, o Bunge , conta 349 membri, 290 membri eletti per un mandato quinquennale in collegi uninominali con sistema maggioritario ad un turno. Ad essi si aggiungono 47 donne elette una per ogni contea e 12 membri nominati dai partiti politici in proporzione alla loro percentuale di seggi ottenuti. Il presidente dell’Assemblea Nazionale (lo Speaker) è invece nominato d’ufficio.
C’è anche un senato con 67 membri. Di questi, 47 sono eletti in collegi uninominali (uno per contea) con sistema maggioritario ad un turno, 16 donne sono nominate dai partiti politici, un uomo e una donna sono eletti in rappresentanza dei giovani e un uomo e una donna sono eletti in rappresentanza delle persone con disabilità. Il presidente del Senato è invece nominato d’ufficio.
La magistratura è divisa in Tribunali Superiori e Tribunali Subordinati. I Tribunali Superiori sono composte da un giudice supremo che è anche presidente della corte suprema, i vice capo della giustizia (che sono membri della Corte suprema), i giudici della Corte suprema, i giudici dell’Alta Corte e giudici della Corte d’Appello del Kenya ( nominati da un organo indipendente, la Commissione del Servizio Giudiziario. Il Presidente della Corte Suprema e il suo vice sono nominati dal Presidente tra nomi scelti dalla Commissione del Servizio Giudiziario e votati dall’Assemblea Nazionale. I tribunali subordinati sono i tribunali della magistratura ordinaria, i tribunali tradizionali tribali (Kadhi) e i tribunali marziali.
Il Democracy Index dell’Economist Intelligence Unit classifica il Kenya come una “regime ibrido” al livello di paesi come Honduras, Tanzania, Marocco e Bosnia-Erzegovina.
Nelle prossime pagine, la storia politica del paese, i risultati elettorali recenti, i principali partiti politici ed i candidati alla presidenza.
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