La repubblica del Kenya nacque ufficialmente nel 1963, dopo l’indipendenza dalla Gran Bretagna. I negoziati per l’indipendenza iniziarono a Londra nel 1960, coinvolgendo i rappresentati dei coloni bianchi e i gruppi politici locali, raccolti nell’Unione Nazionale Africana del Kenya (KANU), guidata dal sindacalista Tom Mboya e dal leader indipendentista Jomo Kenyatta. Dal KANU si distaccarono alcuni leader regionali, tra i quali Ronald Ngala e Danie Arap Moi, che fondarono l’Unione Democratica Africana del Kenya (KADU). Nelle prime elezioni multipartitiche del 1961, svolte ancora sotto il dominio britannico, il KANU ottenne 19 dei 33 seggi africani mentre il KADU ne ottenne 11 (con 20 seggi riservati per quota a europei, asiatici e arabi). Nel 1962 fu formato un governo di coalizione KANU-KADU, che includeva sia Kenyatta che Ngala. La costituzione del 1962 istituì una legislatura bicamerale composta da una Camera dei rappresentanti e un Senato. Il principio della quota dei seggi riservati ai non africani fu abbandonato e nel maggio 1963 si tennero nuove elezioni nelle quali il KANU ottenne i la maggioranza sia al Senato che alla Camera dei Rappresentanti. Jomo Kenyatta fu nominato primo ministro, carica che venne abolita l’anno successivo quando Kenyatta fu nominato dal parlamento primo presidente del Kenya indipendente.
Una volta al potere, Kenyatta confiscò le grandi aziende agricole che erano appartenute ai coloni bianchi distribuendole ad agricoltori locali, in gran parte appartenenti al gruppo etnico dei Kikuyu, al quale Kenyatta apparteneva, insieme ai loro alleati Embu e Meru. Il KADU, che rappresentava gli interessi delle tribù minori del paese fu costretto a sciogliersi e ad unirsi al KANU. Una scissione dell’ala sinistra del KANU creò la KPU, partito di tendenza socialista filosovietica, appoggiata in gran parte dalla gruppo etnico Luo, a cui apparteneva Tom Mboya, allora ministro dello sviluppo economico, del lavoro e della giustizia. Nel 1969 Mboya fu assassinato. L’omicidio provocò un’ondata di scontri armati tra Kikuyu e Luo. Kenyatta ne approfittò per mettere al bando la KPU, instaurare un regime a partito unico ed eliminare i gruppi politici di sinistra, adottando una politica conservatrice e allineandosi in politica estera alla Gran Bretagna e agli USA.
Alla morte di Kenyatta nel 1978, il vicepresidente Daniel arap Moi divenne nuovo leader del KANU e presidente del Kenya. Moi, appartenente al gruppo etnico Kanenjin, governò in modo autoritario, concentrando il potere nelle mani di esponenti della sua tribù, mantenendo in politica estera la posizione filo-occidentale adottata dal suo predecessore. Durante la sua presidenza le truppe kenyote si macchiarono di gravi massacri durante la repressione delle rivolte di alcuni gruppi etnici del nord-est del paese.
Con la fine dell’Unione Sovietica e della minaccia del pericolo comunista, i paesi occidentali iniziarono a fare pressione di Moi per reintrodurre il multipartitismo nel paese. Il Forum per la restaurazione della democrazia (FORD) una formazione interetnica, divenne la principale forza politica legale di opposizione al potere del KANU. Tuttavia in vista delle prime elezioni libere del 1992 , il FORD si divise tra una componente legata all’etnia Kikuyu (FORD-Asili), e una all’etnia Lou (FORD-Kenya), che si presentarono separatamente sia alle elezioni parlamentari che a quelle presidenziali, permettendo a Moi di essere rieletto e al KANU di ottenere la maggioranza assoluta dei seggi nell’Assemblea Nazionale. Negli anni successivi Moi riuscì a mantenersi al potere utilizzando una combinazione strategica di favoritismi etnici, repressione e emarginazione delle forze di opposizione. La sua politica volta ad aizzare gli odi interetnici gli permise di presentarsi in quanto unico garante dell’unità del paese. Nel 1997 le divisioni tra i partiti di opposizione consentirono a Moi di essere rieletto alla presidenza, battendo Mwai Kibaki, di etnia Kikuyu, leader del Partito Democratico (conservatore) mentre il KANU manteneva la sua egemonia in parlamento.
Nel 2002, Moi, non potendosi costituzionalmente ricandidare per un nuovo mandato, decise di lasciare la presidenza a Uhuru Kenyatta, figlio del primo presidente del Kenya, che tuttavia fu clamorosamente sconfitto alle elezioni presidenziali da Kibaki, che si era presentato alla testa di una vasta alleanza di partiti di opposizione chiamata “Coalizione Nazionale Arcobaleno” (NARC), la quale ottenne la maggioranza assoluta in parlamento.
Durante gli anni della presidenza di Kibaki, Il Kenya ebbe una spettacolare ripresa economica, aiutata da un ambiente internazionale favorevole, tuttavia, aumentarono anche le disuguaglianze sociali e i benefici economici andarono sproporzionatamente ai Kikuyu, mentre la corruzione rimaneva endemica nel paese e la criminalità aumentava, soprattutto nelle zone urbane. Kibaki si riavvicinò politicamente a Moi, che ancora deteneva un notevole potere nel paese, il che portò allo sfaldamento della Coalizione Arcobaleno, dominata dei Kikuyu di Kibaki, dalla quale si distaccarono i gruppi Lou e Kalenjim, che, guidati da Raila Amolo Odinga di etnia Luo, fondarono il Movimento Democratico Orange (ODM).
Le elezioni del 2007 videro una sfida serrata tra Kibaki e Odinga, con il presidente in carica rieletto con il 46% dei voti in elezioni contrassegnate da vasti brogli e violenze interetniche. Il Movimento Democratico Orange divenne tuttavia il primo partito in parlamento con 99 seggi su 210. Gli scontri armati tra gruppi Kikuju e Luo durante e dopo le elezioni provocarono circa 1’500 morti e 600’000 sfollati. Non avendo una maggioranza in parlamento Kibaki dovette accordarsi con Odinga, creando la carica di Primo Ministro (che non era prevista dalla costituzione) che fu affidata allo stesso Odinga a capo di un governo di unità nazionale. Vicepresidente fu nominato Kalonzo Musyoka, di etnia Kanejim, che era arrivato terzo nelle elezioni presidenziali.
Nelle elezioni del 2013, Kibaki, non potendo costituzionalmente ricandidarsi per un terzo mandato, il gruppo di potere legato all’etnia Kikuju, decise di candidare alla presidenza Uhuru Kenyatta, a capo di una coalizione di partiti di centrodestra chiamata Alleanza Jubilee, (che nel 2016 sarebbe diventata l’attuale Partito Jubilee). Uhuru Kenyatta si trovò come sfidante alle presidenziali ancora un volta Odinga il quale aveva nominato Musyoka come candidato vicepresidente. Kenyatta scelse come vicepresidente William Ruto, appartenente come Muskoya all’etnia Kalenjim, il quale in passato aveva fatto parte del partito KANU dell’ex presidente Moi e poi del Movimento Democratico Orange di Odinga. Kenyatta riuscì a sconfiggere Odinga ottenendo oltre il 50% dei voti. Quest’ ultimo si rivolse alla Corte Suprema accusando il Partito Jubileee di vasti brogli elettorali, ma la sua denuncia fu respinta. Alle elezioni parlamentari l’ODM ottenne il maggior numero di seggi, ma Kenyatta riuscì a trovare una maggioranza grazie all’accordo tra l’Alleanza Jubilee e il nuovo Partito Repubblicano Unito, guidato da Ruto.
Le elezioni del 2017 furono una fotocopia di quelle del 2013, con la replica della sfida tra il duo Kenyatta-Ruto contro Odinga-Musyoka. Anche in questo caso Kenyatta ottenne oltre il 50% dei voti. Dopo la sconfitta, Raila Odinga presentò nuovamente una petizione sui risultati alla Corte Suprema, accusando Uhuru Kenyatta e il suo partito di brogli. La Corte Suprema stavolta, con una sentenza storica, annullò i risultati delle elezioni presidenziali a causa dei brogli. Le elezioni presidenziali vennero quindi ripetute, ma Odinga rifiutò di parteciparvi, portando ad un plebiscito per Kenyatta. Nel 2018 Odinga e Kenyatta arrivarono ad una storica riconciliazione politica, che portò ad una significativa diminuzione dei conflitti interetnici e ad una maggiore stabilità politica, accompagnata ad una significativa crescita economica.
Nelle prossime pagine, gli sviluppi politici recenti, gli ultimi risultati elettorali, i principali partiti politici ed i candidati alla presidenza.
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