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IL MAPPAMONDO – Tutte le elezioni che ci siamo persi durante la quarantena (II parte)

Continua la nostra analisi di tutte le tornate elettorali passate, alcune più alcune meno, sott’occhio nel periodo più arduo dell’emergenza Covid.
Cominciamo con un Paese caraibico, Saint Kitts&Nevis.

SAINT KITTS & NEVIS

Il 5 giugno si sono tenute le elezioni parlamentari a Saint Kitts e Nevis.

Saint Kitts e Nevis sono una Repubblica nelle Piccole Antille formata da due isole: San Cristoforo (così denominata in onore di Cristoforo Colombo, che vi approdò nel 1492, detta Saint Kitts) e l’isola di Nevis. Ex colonia britannica, hanno acquisito l’indipendenza nel 1983, dopo essersi separate dall’Isola di Anguilla, tuttora territorio d’oltremare inglese.

Nonostante siano territorialmente piccole, Saint Kitts&Nevis sono anche due isole molto movimentate. Il Capo dello Stato, come in Australia e in Canada, è tuttora la Regina Elisabetta, ma il vero potere è detenuto dal parlamentino locale, e, in particolare, dal Primo Ministro. Si sono succeduti al comando, dalla sua nascita, il PAM (Movimento di Azione Popolare), che dovette affrontare negli anni 80 una grave crisi economica dovuta al crollo del prezzo dello zucchero, la cui coltivazione all’epoca costituiva la principale risorsa economica, e che per primo diversificò l’economia aggiungendovi il turismo e, naturalmente, il sempre profittevole offshore.

Nel 1995 il PAM perse le elezioni, e fu sostituito dalla sinistra cristoforiana, il Partito Laburista, dominata dalla forte figura di Denzil Douglas. Popolarissimo, Douglas ha governato ben 20 anni, arrivando per la prima volta nel 2015 a perdere le elezioni a causa di un’unione di tutti i partiti di opposizione contro di lui. 20 anni comunque non sempre facili, in primis per le difficoltà interne dovute alle spinte indipendentiste degli orgogliosi abitanti di Nevis.

Partito Laburista di S. Kitts&Nevis – socialdemocrazia – 37,1% (2 seggi, -1)            Movimento di Azione Popolare – liberalconservatorismo – 28,9% (4 seggi)                            Partito Laburista Popolare – liberaldemocrazia – 13,4% (2 seggi, +1)                                   Movimento dei Cittadini Impegnati – conservatorismo, autonomismo nevisiano – 12,6% (3 seggi, +1)       Partito Riformista di Nevis – indipendentismo nazionalista nevisiano – 8% (0, -1)

Anche questa volta l’opposizione vince: l’unione dei partiti moderati e di centro-destra, il “Team Unità”, formata ottiene tutta insieme ben 9 seggi, a fronte dei 2 del Partito Laburista, pur se giunto primo. Determinante per il Team Unità l’appoggio delle minoranze nazionaliste nevisiane, che hanno vissuto male il conflitto con Douglas. Le incredibili conseguenze dell’uninominale. I partiti di centro-destra si sono accordati così: non diventa Primo Ministro il primo arrivato, ma il leader del partito di “mezzo”, Timothy Harris, un ex-commercialista (da quelle parti fanno sempre comodo), premier dal 2015 e tutt’oggi riconfermato.

SERBIA

Il 21 giugno si sono tenute le elezioni parlamentari in Serbia.

L’affluenza è stata molto bassa, con un crollo del 7,2% (si è attestata al 48,9%), e non è un semplice caso. Infatti gran parte dei partiti di (vera) opposizione, e in particolare la coalizione liberale nemica del potentissimo Presidente della Repubblica Aleksandar Vukic, l’Alleanza per la Serbia, hanno boicottato il voto non presentandosi alle consultazioni.
Una scelta che ha certamente avuto un impatto togliendo credibilità alla tornata elettorale, anche per via dei rimproveri OCSE, che aveva dato delle precise raccomandazioni (non rispettate), e per i media totalmente controllati dai partiti al potere.

La Serbia è un Paese che guarda all’Unione Europea con fervore, un fervore che però non è accompagnato da un processo di vera democratizzazione interna. Le decisioni di Vukic, che vorrebbe far apparire moderno e occidentale il regno di Belgrado – ed è anche aperto a maggiori accordi con il Kosovo e le ex province iugoslave – sono più forma che sostanza. Il rischio per l’Unione Europea, nell’accettare una Serbia che avrebbe tutto da beneficiare dall’ingresso, è di ritrovarsi una seconda Ungheria-Polonia in casa, magari, certo più moderna ma non più democratica.
Dal 2017 Vukic ha abbandonato il Governo preferendo la Presidenza della Repubblica, e gli ha succeduto Ana Brnabic, la premier inflessibile e dura che però viene vista come una sua estensione, un suo burattino. Burocrate di Stato figlia di combattenti iugoslavi, omosessuale dichiarata ma al contempo conservatrice,  negazionista di Srebrenica, ha saputo muoversi tra amicizie “europeiste” e “filo-russe” allo stesso tempo con una facilità tale da essere riuscita ad arrivare all’apice di un Paese oscurantista.

Per i nostri Figli – conservatorismo – 60,7% (188 seggi, +57)                                   Partito Socialista di Serbia – socialismo nazionalista – 10,4% (32 seggi, +3)                                                                                                                (altri partiti hanno ottenuto tutti una percentuale inferiore al 5%, solo l’estrema destra dell’Alleanza Patriottica Serba ha conquistato 11 seggi)

Naturalmente, anche questa volta, la coalizione di destra di Vukic e Brnabic ha stravinto, stracciando le poche opposizioni poco opposizioni (tra cui i socialdemocratici, più conservatori che di sinistra, che ci avevano governato insieme). I due rimangono quindi al potere, ancora più forti di prima.

O forse no. Da giorni, a seguito delle elezioni, si svolgono manifestazioni in tutto il Paese (per la verità non solo spinte dai democratici, ma anche dalle destre estreme), contro le misure di lockdown, non dovute tanto al lockdown in sé, ma alla recrudescenza di contagi che sta colpendo il Paese e che si considera dovuta anche alla decisione di Vukic di non avere messo in atto prima misure di contenimento in modo da non dover rimandare le elezioni. Una protesta che è diventata una protesta contro l’attuale comando. Cosa succederà? Per ora Brnabic ha parlato, e ha promesso inflessibilità; promessa mantenuta, dato che migliaia di poliziotti sono nelle strade.

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